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PANSM: così formulato rischia di non intervenire sulla prevenzione e non investe sulla psicologia di

PANSM: così formulato rischia di non intervenire sulla prevenzione e non investe sulla psicologia di
Il Piano di Azione Nazionale per la Salute Mentale (PANSM) 2025-2030, trasmesso dal Ministero della Salute il 15 luglio, seppure nell’introduzione riconosca il ruolo centrale dei determinanti sociali della salute mentale, promuova l’approccio biopsicosociale e punti sull’integrazione con il territorio, la sua declinazione operativa resta medico-centrica, riportando al centro la patologia psichiatrica e lasciando ai margini la psicologia e la prevenzione primaria, di cui c’è sempre più bisogno.
 
Tra le altre criticità del PANSM, vi è la collocazione dello psicologo di primo livello: nel Piano viene indicato all’interno delle Case di Comunità, come previsto dal DM 77/2022, ma a livello operativo viene di nuovo posto nei Dipartimenti di Salute Mentale (DSM), contraddicendo così la logica della prossimità e rischiando di far ricadere anche i disagi lievi in un’ottica specialistica. Il modello Stepped Care per la depressione, citato anche nel Piano, invece, mette al primo posto la psicoeducazione e il supporto tra pari; il livello crescente prevede la psicoterapia, anche senza l’uso di trattamenti farmacologici, o la combinazione dei due.

Le revisioni suggerite al PANSM consistono nel:
  • formulare un modello organizzativo più trasversale, rispetto ai DSM, come quelli che hanno dipartimenti chiave quelli delle Cure Primarie e Sanità Pubblica, con una connotazione più marcata in chiave preventiva e anti-stigma, realmente centrati sulla persona, sulle interfacce sanitarie, sociali e comunitarie;
  • riferimento ai concetti di task-shifting e di task-sharing in modo poco chiaro: senza una definita attribuzione di ruoli e competenze, si rischia di svalutare il contributo dei professionisti psicologi e minare la qualità dei trattamenti, aprendo la strada a pratiche inefficaci e che potrebbero configurare l’abuso della professione;
  • favorire un potenziamento dei Consultori Familiari, con una forte mission preventiva e di empowerment, in modo da alleggerire di molto i secondi livelli di intervento. Nel Piano, però, manca la sede in cui avviene questa prevenzione, che non può essere nei DSM, ma nella comunità, nella prossimità più vicina alla persona;
  • non trascurare aree come psicologia ospedaliera, psicologia dell’emergenza, supporto ai caregiver, nuove dipendenze, violenza di genere, povertà e marginalità, rapporto con il sistema giudiziario, solo per citarne alcune. Realtà quotidiane per migliaia di professionisti sul campo;
  • prevedere nella stesura delle modifiche al Piano il coinvolgimento della psicologia e dei suoi professionisti che lavorano nei servizi e nelle istituzioni che li rappresentano, anche nell’ottica di mettere a sistema le diverse buone pratiche aziendali e regionali.
Nel documento viene esplicitato che solo il 7,2% delle prestazioni erogate nei servizi territoriali è di tipo psicologico o psicoterapico, contro il 30,7% di quelle infermieristiche e il 25,2% di quelle psichiatriche: un dato che riflette ancora una volta una carenza strutturale di professionisti psicologi nel Servizio Sanitario Nazionale, con un impatto diretto sulla qualità e accessibilità delle cure. Tema che già da tempo come Ordine stiamo portando all’attenzione delle Istituzioni.
 
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