L’IA non può sostituirsi allo psicologo, ma sta impattando sulla psicologia
Stiamo assistendo a un uso massivo dell’Intelligenza artificiale (IA) e a diverse forme di agency digitali, utilizzate anche come “amico-psicologo”. Ed è un aspetto che non dobbiamo demonizzare, ma su cui dobbiamo interrogarci e fare riflessioni che vadano al di là dei luoghi comuni. Riflessioni che abbiano come esito maggiore conoscenza di questi strumenti, potenzialità e limiti, e buone pratiche, per tutti. Anche alla luce di quanto recentemente scritto da una madre sulle pagine del New York Times, ripreso anche dalla nostra stampa, dove ha raccontato la storia drammatica della figlia Sophie, suicidatasi dopo aver parlato con un terapista virtuale di ChatGpt: “What my daughter told to ChatGpt before she took her life”, “Cos’ha detto mia figlia a ChatGpt prima di togliersi la vita”. Già. Questa è una delle riflessioni che dobbiamo fare anche noi come comunità professionale: i ragazzi, ma anche gli adulti, usano i chatbot come se fossero degli psicologi, e nella relazione terapeutica dobbiamo tenerne conto.Dobbiamo riflettere anche sul recente “scompenso emotivo” collettivo all’aggiornamento di ChatGpt -5, considerata fredda, algida, razionale, poco empatica, “meno umana”. Aggettivi letti sui social, tra le pagine dei giornali, sentite dalla voce degli utilizzatori che fanno riflettere, e che come comunità professionale, ancora una volta, ci chiedono di uscire dalla banale e convinta affermazione che l’IA non potrà mai sostituirsi alla relazione con l’umano. È il momento di non avere certezze, ma domande: come entra nella dinamica clinica, e non solo, la relazione tra l’umano e il chatbot? È un terzo soggetto che non possiamo non tenere in considerazione.Se su tanti aspetti possiamo, umanamente e comprensibilmente, non avere certezze, mosse anche dal veloce evolvere di questi strumenti, forse su uno possiamo averne qualcuna in più: l’intelligenza artificiale, a oggi, non può sostituire quella umana. L’umano ha un mondo, un contesto, esperienze, la macchina ha ciò che noi le diamo in pasto.Lo psicologo, tutto questo, lo sa ascoltare, vedere, e portarlo nella relazione clinica. Perché la relazione con il/la professionista psicologo/a è complessa, in senso etimologico, ed è guidata anche dalla deontologia, che è la nostra “costituzione” professionale.L’IA può essere uno strumento a supporto della professione, per le potenzialità che ha già dimostrato nell’ambito della diagnostica, della prevenzione in ambito medico. Questo, però, richiede un uso consapevole, etico, competente da parte di tutti, compresa la nostra comunità professionale.L’Ordine delle Psicologhe e degli Psicologi dell’Emilia-Romagna, nell’ultimo Consiglio di luglio, ha istituito un Gruppo di Lavoro su “Psicologia e Intelligenza artificiale”, che sarà composto da 15 membri e da un/a cordinatore/trice, con l’obiettivo di valorizzare il ruolo professionale dello psicologo come figura chiave per lo sviluppo e l’applicazione etica dell’IA, non solo nella clinica, ma in tutti gli ambiti della psicologia, promuovere l’integrazione di competenze psicologiche nei team di sviluppo tecnologico, analizzarne l’impatto sulle attività professionali dello psicologo, mappare i nuovi bisogni psicologici che nascono dall’interazione con l’IA, valutare l’efficacia e le implicazioni etiche degli strumenti digitali e AI applicati anche in ambito clinico e verso gli utenti più fragili, elaborare raccomandazioni e documenti di indirizzo per la pratica professionale, progettare e diffondere contenuti formativi e divulgativi per i professionisti, le istituzioni e la cittadinanza.
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