Omofobia e Terapie Riparative

L'omofobia è l’insieme dei sentimenti negativi provati più o meno consapevolmente nei confronti delle persone omosessuali.  Tale disprezzo, ostilità o paura affonda le sue radici nei pregiudizi e stereotipi culturali presenti nella nostra società che favoriscono, anche in modo invisibile, l’egemonia dell’eterosessualità. Molto spesso questo sentimento si traduce in atteggiamenti e comportamenti discriminatori o colpevolizzanti verso le persone omosessuali.

Per omofobia interiorizzata invece si intende l’accettazione passiva (consapevole e soprattutto inconsapevole) da parte delle persone omosessuali di tutti i pregiudizi, i comportamenti e le opinioni discriminatorie tipici della cultura omofoba. Ciò incide profondamente, come agente patogeno, sul benessere della persona che può provare sentimenti di vergogna, disistima o addirittura autodisprezzo fino ad arrivare a identificarsi con gli stereotipi denigratori.

Nel 1990 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito l’omosessualità come una variante naturale del comportamento umano, ma esiste ancora chi tenta di curare le persone omosessuali. Nel 2010 il Consiglio dell’Ordine si è espresso contro queste “terapie”, spiegandone la pericolosità e gli effetti negativi.
L’Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna si schiera dalla parte della scienza e dice No alle "Terapie Riparative"
Settembre 2010

Era imperativo per l’Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna prendere una posizione chiara nei confronti delle cosiddette Terapie Riparative, modelli terapeutici che, contro ogni evidenza scientifica, patologizzano l’omosessualità e pretendono di “curarla”. E soprattutto era necessario stilare un documento ufficiale che attestasse le convinzioni dei professionisti del settore.

E così è stato. Un gruppo di lavoro istituito ad hoc ha elaborato il testo che, ricevuta l'approvazione del Consiglio nella riunione del 2 settembre 2010, costituisce il parere formale dell’Ordine dell’Emilia-Romagna.

Ma cosa sono queste “Terapie Riparative”?
Hanno origine negli anni ’80 ad opera della teologa E. Moberly e si fondano sul presupposto che l’omosessualità “sopraggiunga” a causa di un disturbo nel normale sviluppo dell’individuo e che di conseguenza debba essere “guarita”. Diffusione e visibilità internazionale risalgono invece agli anni ’90, attraverso gli scritti dello psichiatra americano Socarides, e più recentemente ad opera di Nicolosi, psicologo americano e cattolico conservatore, che organizza in tutto il mondo “convegni formativi” sull’argomento, uno dei quali lo scorso maggio in Italia.

La diffusione di questi modelli terapeutici ha messo in allerta le associazioni internazionali del settore come l’American Psychiatric Association (APA) e l’Organizzazione Mondiale della Sanità che, rispettivamente nel 1974 e nel 1990, avevano eliminato l’omosessualità dalla classificazione delle patologie, definendola una normale variante dell’orientamento sessuale umano.

L’analisi delle ricerche scientifiche e dei dati clinici, pubblicata recentemente dall’APA e condivisa dal Consiglio dell’Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna con l’approvazione del documento ufficiale contro le “Terapie Riparative”, ribadisce la nocività di tali trattamenti. Dall’esame della letteratura scientifica è infatti emerso che le terapie tese a modificare l’orientamento sessuale, oltre a fallire nel loro scopo, possono provocare nei soggetti gravi effetti negativi che spaziano dalla perdita di interesse sessuale all’ansia e depressione - a volte aggravate da spinte al suicidio - causando pesanti stress emotivi ed accrescendo l’omofobia interiorizzata. L’APA aggiunge la preoccupazione che il diffondersi delle “Terapie Riparative” contribuisca ad aumentare pregiudizi e discriminazioni sociali, causa principale dello stress emotivo degli omosessuali e delle loro famiglie, e invita organismi sociali e professionisti ad attivarsi per contrastarle.

APA e Ordine dell’Emilia-Romagna, così come associazioni scientifiche ed enti di tutto il mondo, raccomandano pertanto a psicologi e psichiatri di affrontare il malessere accusato da alcuni omosessuali con terapie supportive, accoglienti e non giudicanti. Alla base di tale disagio ci sarebbe infatti un conflitto interno tra l’orientamento sessuale e il contesto socio-culturale cui la persona appartiene – spesso tuttora affetto da discriminazioni e disapprovazione sociale – in grado di indurre nell’individuo uno stato di omofobia interiorizzata che svaluta pesantemente l’immagine che ha di sé, causando imbarazzo, vergogna, colpa e tendenze suicide. Diventa allora eticamente necessario per i professionisti indirizzare la persona verso la consapevolezza di tale conflitto, aiutandola a superarlo e così liberarla da condizionamenti inconsapevoli e autodistruttivi.